COME LE NEUROSCIENZE AIUTANO NELLA GESTIONE DELLE PERSONE

- di Gian Maria Zapelli | 10 Luglio

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Una diffusa convinzione aziendale ritiene che per ottenere cambiamenti nelle persone occorre agire sulle motivazioni e fornire buoni esempi. Le più recenti straordinarie scoperte neuroscientifiche, che stanno rivoluzionando molti approcci aziendali nella gestione del cambiamento delle persone, ci consentono di comprendere perché non è sufficiente. Si può essere motivati verso un miglioramento, si può partecipare a ottimi corsi di formazione e persino osservare nel capo modi apprezzabili, eppure rimanere con le stesse abitudini.

Iniziamo con un fatto neuronale: la mente è largamente neofobica, è ostile alle novità. Gran parte dell'attività cerebrale – si stima il 95% - si avvale di strutture neurali automatizzate, che operano in totale assenza di riesame e riconsiderazione su quanto possa essere corretto ciò che ascoltiamo, proviamo o pensiamo. La due finalità neuronali che guidano quasi tutta l'attività della mente sono assicurare la sopravvivenza e il contenimento del dolore. Attraverso due strategie: velocità e ripetizione. La velocità viene ottenuta attraverso la spontaneità e l'automatizzazione delle attività cerebrali, nel percepire e nell'interpretare ciò che si vive. La ripetizione, che garantisce di vivere ciò che già si conosce, sapendone quindi prevedere il futuro, viene ottenuta con l'ostilità e l'avversione emotiva e cognitiva a ciò che è nuovo e sconosciuto.

Eccoci allora a un secondo formidabile fatto che le neuroscienze ci aiutano a comprendere: le modalità biologiche del cambiamento della mente e delle sue abitudini. Ancorché la mente sia plastica e può mutare le sue sinapsi lungo tutto l'arco della vita, non è disponibile a cambiare incondizionatamente. Accetta facilmente e senza sforzo solo i cambiamenti che non entrano in conflitto con quanto già è in suo possesso, nelle esperienze e nella convinzioni, a cui è già abituata. Si imparano con facilità nuovi modi di pensare e nuovi nodi di agire solo quando non richiedono di contrastare strutture di abitudini cognitive ed emotive già insediate.

"Cambiare non è uno sforzo che si rivolge verso i colleghi o verso i capi, non è un impegno in opposizione alla realtà fuori da sé. Cambiare è uno scontro tra due strategie neurali presenti nella nostra mente"

Ma quando il cambiamento richiede di modificare abitudini spontaneizzate, quando richiede di affrontare cambiamenti verso i quali la mente non ha esperienze, la mente automaticamente erige muri di ribellione e difesa. Per lo più producendo vissuti che inducono a vivere il cambiamento pericoloso, troppo faticoso, impossibile. Pertanto, si può essere anche motivati verso un nuovo comportamento, verso nuovi modi di essere, ma se il cambiamento da realizzare deve opporsi alle abitudini che si sono stabilizzate nei circuiti sinaptici, la sola motivazione non basta a vincere la poderosa opposizione della mente.

Fortunatamente nella corteccia pre-frontale, solo negli esseri umani, è presente un circuito cerebrale che mette a disposizione due risorse fondamentali, dedicate a completare, se non addirittura contrastare e mutare, il resto della mente. Queste due straordinarie risorse sono il dubbio e l'autocontrollo. Solo la mente umana può esercitare il dubbio su ciò che il resto della mente induce a sentire e a pensare spontaneamente, ottenendo nuove idee e nuove percezioni della realtà. Ma da sola, la consapevolezza non è sufficiente per vincere la massicce resistenze della mente nel difendere le strutture sinaptiche che ha già stabilizzato. Ecco allora l'autocontrollo. Altra risorsa presente nella corteccia prefrontale.

Occorre attingere alla forza di volontà che viene da questa area per frenare o bloccare le abitudini della mente. Occorre autocontrollo per avere nuovi comportamenti, che frenano la spontaneità ad essere permalosi, poco proattivi o poco coraggiosi. Un autocontrollo che non può limitarsi a poche occasioni di sforzo, quando deve modificare abitudini ben radicate. Perché occorre tempo, occorre la perseveranza di un impegno che contrasta ciò che verrebbe più facile e istintivo, affinché finalmente si stabilizzino nuove reti sinaptiche spontaneizzate e automatizzate, modificando quelle precedenti.

Eccoci così alla grande ricalibrazione che ci viene dalle neuroscienze nel pensare strategie aziendali dedicate al cambiamento delle persone. Ottenere che una persona possa cambiare significa attendersi che la sua mente entri in conflitto con se stessa. Cambiare non è uno sforzo che si rivolge verso i colleghi o verso i capi, non è un impegno in opposizione alla realtà fuori da sé. Cambiare è uno scontro tra due strategie neurali presenti nella nostra mente. In conclusione, una strategia manageriale e HR che si propone di ottenere cambiamenti avrà tre domande fondamentali, ispirate dalle neuroscienze:

A) Quanta resistenza incontreranno i cambiamenti attesi, sulla base della loro distanza dalle abitudini presenti nelle persone?

B) Come attivare un dubbio e una riflessione che aiutino a riconoscere una ragione per contrastare se stessi?

C) E soprattutto, quale aiuto nel tempo deve essere messo a disposizione per ottenere nelle persone perseveranza nello sforzo che devono fare contro se stesse?

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